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Le differenze tra smart working e home working

da | 9 Dic 2022 | Lavoro-HR

Uno dei termini maggiormente utilizzati in questi ultimi anni nel settore del lavoro è certamente lo smart working, la cui crescita è ovviamente stata favorita dall’avvento della pandemia che ha costretto le aziende a fare largo uso di questa metodologia in linea con le normative anti contagio indicate dal Governo.

Ma, almeno in Italia, dove lo smart working può essere tradotto con “lavoro agile”, tale cambiamento lavorativo ha assunto spesso connotati che assomigliano più al cosiddetto “home working”, vale a dire il lavoro da casa, alla luce delle evidenze che hanno caratterizzato l’impegno dei dipendenti nell’era del covid19.

 

Smart working o home working?

Come accennato in precedenza, anche il nostro Paese ha accettato ben volentieri lo smart working, ma in un modalità che di fatto si riassume nell’home working.

Per smart working, infatti, si intende il lavoro eseguito senza alcuna determinazione a priori del luogo e degli orari, con il dipendente che può gestire il proprio tempo e le attività da portare a termine con un grado di libertà quasi totale, fermo restando la necessità di dover rispondere a scadenze e obiettivi prestabiliti. E’ un approccio orientato al risultato finale e ha natura strettamente qualitativa.

Il lavoro agile deve essere stabilito in via preventiva attraverso un accordo individuale tra il dipendente e il datore, all’interno del quale possono essere previsti degli elementi specifici collegati alla disponibilità e reperibilità della forza lavoro.

Per home working, che oltre alla traduzione italiana “lavoro da casa”, coincide anche con il termine “lavoro da remoto”, ci si riferisce sostanzialmente allo spostamento dell’impegno dall’ufficio/azienda verso il proprio domicilio. Differentemente dallo smart working, in questo caso il lavoratore dovrà rispettare gli orari di lavoro classico e indicare il luogo preciso nel quale lo svolgerà, consentendo anche al proprio datore di poter verificare in ogni momento, previo preavviso, tale luogo.

Questa modalità mantiene quindi la natura quantitativa.

In entrambi i casi, è responsabilità del datore di lavoro di provvedere alla fornitura degli strumenti utili allo svolgimento del lavoro per i propri dipendenti, così come le eventuali sostituzioni o riparazioni di suddetti strumenti.

Alla luce di quanto detto, possiamo affermare che in Italia la pandemia ha visto il consolidamento di questa seconda modalità di lavoro piuttosto che dello smart working.

 

La rilevazione delle presenze in smart working

Sebbene il Covid19 sia divenuto un virus ormai gestibile dal sistema sanitario nazionale e spesso curabile direttamente a casa, portando praticamente a un totale ritorno del lavoro in presenza, molte aziende hanno affermato di voler mantenere questa soluzione, stante anche le richieste da parte dei candidati in fase di assunzione e dei dipendenti già presenti in organico.

In questa ottica, quindi le realtà imprenditoriali devono essere in grado di gestire al meglio tale modalità, cercando di ovviare a quelle criticità che sono emerse anche negli anni passati.

In primo luogo, con lo smart working la rilevazione delle presenze e la verifica del rispetto degli orari di lavoro è ovviamente più difficoltosa, non avendo l’azienda un controllo “dal vivo” sui dipendenti.

Per superare questo problema, infatti, sono sempre di più le società che si stanno dotando di software gestionali che offrono al reparto delle Risorse Umane la possibilità di poter monitorare l’ingresso e l’uscita dal lavoro, così come le presenze o gli eventuali permessi e straordinari in forma digitale, potendo in questo modo organizzare l’operatività quotidiana al meglio, riducendo anche il rischio di assenteismo, mancato coordinamento rispetto ai turni.

D’altro canto, questi strumenti consentono anche al dipendente stesso di avere un maggior grado di responsabilità e di migliorare il proprio work life balance, vale a dire l’equilibrio tra vita privata e professionale, evitando il rischio di essere sovraccaricati di mansioni, anche e soprattutto fuori dall’orario prestabilito, cosa che sovente è capitata a molti lavoratori negli scorsi anni.

Uno degli errori più comuni che è stato infatti commesso durante la pandemia dal reparto delle Risorse Umane è quello di pensare che in regime di smart working, il lavoratore sia disponibile e possa essere interpellato anche ben oltre gli orari prestabiliti, con effetti negativi a livello di produttività, soddisfazione e fiducia e il pericolo di burn out lavorativo.

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