Lavoro, è allarme “carewashing”

da | 10 Dic 2024 | Lavoro-HR

Le dimensioni del mercato globale del benessere aziendale, il cui valore attuale si stima sfiori i 70 miliardi di dollari, si prevede cresceranno in maniera significativa, raggiungendo i 95,8 miliardi di dollari nel 2028 (+37%). Tuttavia, nonostante l’aumento degli investimenti per far star meglio i dipendenti, le condizioni di salute mentale dei lavoratori continuano a peggiorare. Una discrepanza confermata da un sondaggio Gallup 2024, per cui il 79% dei dipendenti a livello globale non percepisce che la propria azienda si preoccupi davvero del proprio benessere complessivo, a fronte di un modesto 21%, che ritiene invece di ricevere un’attenzione adeguata. “Le iniziative di cura spesso risultano superficiali e non soddisfano le esigenze dei lavoratori: si parla per questo di «carewashing»: garantire coerenza tra parole ed azioni si rivela in questo senso essenziale”, ha commentato Marika Delli Ficorelli, Head of HR di Zeta Service.

 

Migliorare la qualità della vita e il benessere dei dipendenti sono gli obiettivi dei programmi di “corporate wellness” che i datori di lavoro pianificano e finanziano. Questi progetti, che spaziano dallo screening sanitario al supporto psicologico, fino a misure di flessibilità come lo smart working, rappresentano un mercato che attualmente vale 69,92 miliardi di dollari e si stima raggiungerà i 95,78 miliardi nel 2028, con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) dell’8,2% e un incremento di circa il 37% in 4 anni, come evidenzia il recentissimo report di The Business Research Company. Tuttavia, se da un lato aumentano gli investimenti nel benessere dei lavoratori, dall’altro le loro condizioni di salute, soprattutto mentale, mostrano segnali di peggioramento, evidenziando un disallineamento tra le risorse stanziate e l’effettiva efficacia delle iniziative proposte. Ecco che quindi si parla di “carewashing”, un termine che indica la discrepanza tra la retorica dell’azienda sulla cultura della cura e la reale esperienza quotidiana dei dipendenti: alcune aziende tendono sostanzialmente a costruire un’immagine di realtà attenta al benessere dei propri dipendenti, seppure non sempre supportata da azioni concrete in tal senso.

“Questa mancanza di coerenza è molto spesso la causa dell’insoddisfazione delle persone – commenta Marika Delli Ficorelli, Head of HR di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi HR e payroll e pluripremiata in termini di welfare e gestione flessibile dei dipendenti – Ad esempio, promuovere un workshop sulla salute mentale nel quale vengono fornite indicazioni su come stabilire confini appropriati tra lavoro e vita privata e, al contempo, non monitorare i carichi di lavoro, inducendo le persone a sacrificare il proprio tempo personale per rispondere a scadenze serrate, mostra come un’iniziativa potenzialmente virtuosa, possa al contrario rivelarsi un boomerang per l’azienda che l’ha promossa. La fiducia verso il management e la capacità di guardare al proprio futuro con positività vengono drasticamente compromesse, rendendo inefficaci anche le migliori iniziative di benessere”. Un disallineamento, dunque, che si riflette nella crescente sfiducia verso le politiche dichiarate dai datori di lavoro: secondo un’indagine Gallup, la percentuale di lavoratori che a livello globale percepisce un sincero impegno dell’azienda verso il proprio benessere è crollata drasticamente, passando dal 49% nel 2020 al 21% nel 2024, con una riduzione del 57%. Il 79% dei dipendenti, dunque, ritiene che la propria azienda non si preoccupi davvero del proprio benessere complessivo. Infatti, negli ultimi anni, i dipendenti hanno sperimentato livelli sempre più alti di emozioni negative quotidiane sul posto di lavoro, come stress (41%), preoccupazione (38%), tristezza (22%) e rabbia (21%).

Disimpegno e demotivazione sono le conseguenze, con costi per l’economia globale di 8,9 trilioni di dollari, ovvero il 9% del PIL mondiale. Non a caso l’occupazione è associata ad alti livelli di soddisfazione quotidiana e a bassi livelli delle emozioni negative. Inoltre, venendo meno l’impegno e il benessere dei dipendenti, il turnover diventa sempre più frequente: secondo il report “State of the Global Workplace” di Gallup, i cosiddetti “quiet quitters” hanno infatti indicato che il miglioramento del benessere sul lavoro è considerato un obiettivo più importante rispetto all’aumento della retribuzione. “La sfida è costruire un ambiente di lavoro permeato da trasparenza, coerenza e fiducia, in cui le persone percepiscano un reale ascolto delle proprie esigenze e si sentano in questo senso valorizzate, un ambiente nel quale gli obiettivi di produttività che l’azienda si pone riescano a dialogare costantemente con l’impatto che questi avranno sulle persone. Dobbiamo infatti avere chiaro che il benessere non solo influisce sull’engagement delle persone, ma ha anche un impatto diretto sulla performance complessiva dell’azienda – commenta Delli Ficorelli – In questo senso risulta essenziale costruire una people strategy che parta dall’ascolto delle persone e che guidi la realizzazione di azioni che sappiano rispondere agli specifici bisogni”.

Per evitare il carewashing, le organizzazioni devono costruire una cultura aziendale autentica, basata su fiducia reciproca, empatia, sicurezza psicologica e integrità. Ma per raggiungere questi obiettivi ci sono delle azioni concrete che Zeta Service suggerisce a leader e aziende:

  1. Garantire coerenza tra parole ed azioni: l’impegno e l’investimento delle aziende dovrebbero essere coerenti con i valori sui quali si fondano.
  2. Coinvolgere le proprie persone: creare un clima di ascolto autentico e condurre valutazioni periodiche che permettano di comprendere le esigenze delle persone e di monitorare l’impatto delle proprie iniziative coinvolgendo collaboratori e collaboratrici, clienti e fornitori nelle decisioni che riguardano i benefit ed i servizi. Questo può avvenire tramite sondaggi, tavoli di lavoro e consulenze aperte, che rendono l’impegno aziendale più partecipato e reale. Per questo motivo Zeta Service ha sviluppato, con il supporto dell’Università Sapienza di Roma, Eleva People Value, uno strumento che consente di analizzare e monitorare il clima aziendale, offrendo alle imprese dati concreti per predisporre poi interventi mirati.
  3. Rendere trasparente l’impatto delle proprie iniziative: pubblicare dati dettagliati e report trasparenti sui risultati delle iniziative. Questo può includere il monitoraggio e la pubblicazione di indicatori chiave di performance che permettano di dimostrare con concretezza i progressi e i risultati raggiunti.
  4. Dare risposte diverse a seconda dei bisogni: personalizzare la proposta di valore con iniziative customizzate, evitando risposte standardizzate su un’idea avulsa dal contesto e dal target di riferimento.
  5. Favorire lo sviluppo di una leadership consapevole: l’impegno verso pratiche autentiche dovrebbe essere parte della cultura aziendale. Investire in programmi di formazione, prima sulle linee di leadership e a seguire sul resto della popolazione, può aiutare a diffondere i valori sociali e ambientali e a far sì che l’intera azienda si muova in modo coerente.
  6. Investire in progetti a lungo termine: impegnarsi in programmi di lungo periodo, con un impatto reale e sostenibile, evitando iniziative o promozioni legate a eventi specifici e trend del momento.
  7. Ottenere certificazioni e standard esterni da enti indipendenti: certificazioni come la ISO 9001 o la UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere, che per loro natura prevedono un monitoraggio costante interno e assessment di verifica annuali, offrono garanzie per collaboratori e collaboratrici, clienti e fornitori, migliorano e garantiscono la credibilità delle iniziative, validando l’impegno dell’azienda verso standard sociali e ambientali.
  8. Favorire la responsabilità e l’accountability: rendere responsabili le figure chiave per i risultati può aiutare a mantenere l’impegno e la trasparenza a lungo termine.

Autore: Matteo Gavioli